Riconversione ecologica
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- Pubblicato Venerdì, 25 Gennaio 2013 19:21
Giuseppe De Marzo - Testo di convocazione
In tutto il mondo si discute di come uscire dalla crisi che minaccia le nostre vite. Ovunque si studiano le cause della crisi, analizzando i diversi aspetti che la compongono. L’elemento su cui convergono scienziati, movimenti, comitati, ricercatori, società civile organizzata sta nella relazione tra l’aumento della povertà e la distruzione dell’ambiente.
La crisi ecologica è ormai da tutti ritenuta il cuore della grande crisi economica e sociale che stiamo vivendo. La risposta alle nostre urgenze sta dunque nella necessità di ricostruire una diversa relazione tra il nostro modo di vivere, produrre e consumare ed il resto del vivente.
Questo significa puntare da subito ad una riconversione ecologica delle nostre attività produttive e della filiera energetica. Impossibile? Niente affatto, anzi. La riconversione ad esempio nella nostra città garantirebbe nel giro di pochi anni 40 mila nuovi posti di lavoro, ridurrebbe le emissioni di CO2 della capitale di 4 milioni di tonnellate ed avvicinerebbe i cittadini alla democrazia, consentendogli una partecipazione attiva nell’accesso e nella gestione delle risorse e dei beni comuni.
Lavoro, beni comuni e partecipazione si incontrerebbero, rivitalizzando la nostra agonizzante democrazia. Anche l’Europa su questo può giocare un ruolo positivo. Da tempo sono stati messi a disposizione strumenti per sostenere l’impegno delle città che vogliono “riconvertirsi”. Si chiama SEAP, Sustainable Energy Action Plan, piano per lo sviluppo di energia sostenibile.
L’uscita dalla crisi è possibile, ma cambiando radicalmente rotta, non certo la marcia del governo. Le politiche di austerità, il vincolo del pareggio di bilancio ed impegni internazionali come il fiscal compact rendono invece impossibile qualsiasi tentativo di costruire politiche sociali, ambientali e per il lavoro virtuose e pubbliche. La volontà di affidare ai privati il “business” della cosiddetta green economy, corrisponde all’ennesimo tentativo da parte di governo, finanza e banche di “finanzia rizzare” la crisi ecologica, speculando e privatizzando ancora le nostre preziosissime risorse ed i nostri beni comuni.
Vogliono fare cassa con il nostro futuro, sacrificando i nostri diritti. Non è con le privatizzazioni e con il pareggio di bilancio che usciamo dalla crisi economica ed ecologica. È solo con le ripubblicizzazioni dei servizi basici e con la riconversione ecologica delle attività produttive e della filiera energetica che saremo capaci di creare lavoro, difendere i beni comuni e proteggere la natura.
Abbasseremmo anche i prezzi delle bollette, garantendo un risparmio alle famiglie. Di questo i cittadini, le realtà dell’altra economia, le associazioni impegnate nella difesa dei beni comuni, i comitati, vorrebbero discutere con la politica. Il futuro di Roma si cambia migliorandolo attraverso scelte in netta discontinuità con il passato. La riconversione dei territori è un tema così importante ed utile che non deve e non può essere lasciato a banche e imprese come vorrebbe il governo Monti.
Invece, in perfetta continuità con questi ultimi anni di deriva della democrazia, le forze politiche della città appaiono distanti dai problemi reali che mordono le nostre vite. Hanno cancellato il confronto su questi temi, come se non avessero imparato nulla dalla crisi mondiale prodotta proprio da chi sostiene un modello di sviluppo che dopo averci avvelenato non può pretendere di fornirci la medicina. I cittadini e cittadine colpite dalla crisi esigono su questo risposte e pretendono dai politici impegno e qualità nelle proposte. Molto più che con le primarie, è su questioni concrete e attraverso scelte coraggiose che la politica può dimostrare di essere ancora lo strumento più importante per tutelare gli interessi generali.