A sinistra è questione Capitale

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Sandro Medici, micromega - Con il voto per il Napolitano-bis il Pd ha scelto la politica compromissoria delle larghe intese. Ora che la coalizione Italia Bene Comune sta andando in frantumi, per la sinistra italiana è arrivato il tempo di scegliere cosa fare. Le elezioni al Campidoglio possono rappresentare un tassello importante per la costruzione di un’alternativa.

Svuotata, smarrita, abbattuta, furiosa. Scegliete voi come definire la sinistra italiana, oggi, dopo la catastrofe parlamentare di sabato pomeriggio. Sconfitta ancora una volta dalle proprie patologie, da quell’estenuante sdoppiamento tra poter e dover essere. Specchio frantumato da incertezze e contraddizioni mai superate, da equivoci e ambiguità mai sciolti, da compiacenze e servilismi mai ammessi ma di fatto agiti e forse subiti.

L’onda lunga dell’89, che nel tempo sempre più intorpidiva, fino a diventare schiumosa risacca, ha trovato infine il suo definitivo approdo. Il peggiore: l’abbandono, l’estinzione, la resa.
Inascoltati o scherniti, in diversi andavamo dicendo che non ci sarebbe stato esito diverso, che sarebbe stato necessario procedere verso altre prospettive, sganciarsi da quel processo suicida che si profilava inesorabile, progettare e praticare politiche nuove. Ma è del tutto vano rifugiarsi in quel consueto e stucchevole “l’avevamo detto”. E non serve a nessuno recriminare, alimenta solo sconforto. Semmai, in mezzo a tutte queste macerie, facendo attenzione a non calpestare frammenti e detriti ancora forse vitali, si può provare ad accogliere e assecondare quell’impulso naturale a reagire. A rialzarsi, a drizzare la schiena, a immaginarsi un nuovo inizio. Senza retorica, certo, né ingenuità consolatorie.

Lasciamo dunque il Pd alla sua deriva compromissoria. Farà quel che intende fare e ce ne faremo una ragione. Per chi ritiene indispensabile una funzione della sinistra nella politica italiana è arrivato il tempo di scegliere cosa fare e dove andare. Fin da subito. Fin dalle prossime elezioni amministrative. A Roma, in particolare, che tra tutte le città al voto è quella più importante e dai risvolti più significativi. Ripartiamo da Roma, dove per le sole convenienze di gruppi oligarchici si continua a sostenere un centrosinistra ormai frantumato. Quella stagione è chiusa: non entusiasma più, non raccoglie più speranze, non anima né slanci né tensioni. Cerca solo di sopravvivere aggrappandosi a un immaginario nel frattempo sfiorito, anzi spento.

E allora liberiamoci da questo ingannevole malinteso. A Roma un progetto di sinistra, indipendente e alternativo, c’è già, e da tempo raccoglie soggettività e intelligenze, esperienze civiche e movimenti sociali, donne e uomini appassionati e generosi. E ormai ha assunto un connotato definito e promettente. Si chiama Repubblica Romana. Può essere l’ambito politico e culturale che accoglie la sinistra, le sinistre e forse molto altro ancora. E’ una proposta aperta a tutte le sensibilità democratiche che non vogliono arrendersi.

Perché dunque restare invischiati in una coalizione che non solo s’è spezzata, ma che reitera modelli tanto discutibili quanto scaduti? Se non c’è più Italia bene comune, com’è possibile tenere ancora in vita Roma bene comune?
Repubblica Romana lancia un appello alla sinistra, a tutte le sinistre, ai partiti e ai movimenti, a chi ha rotto i perimetri e a chi invano cerca di difenderli, per stare tutti insieme in questa battaglia per il Campidoglio. Una battaglia che non riguarderà solo il futuro della città, ma che definirà anche il futuro della sinistra. Non si tratta di indossare le camicie rosse e difendere Porta San Pancrazio, ma di ricominciare. Con qualche cicatrice in più, ma con quella serena consapevolezza che incoraggia i coraggiosi.

*candidato sindaco di Roma per la lista Repubblica Romana

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